Il Book of Kells è un manoscritto medioevale miniato che raccoglie i 4 Vangeli in latino, custodito nel Trinity College di Dublino. E’ considerato il capolavoro dell’arte celtica, che oggi gode di tanta fama proprio grazie all’eccezionale qualità di pagine e pagine di sontuosa scrittura a colori, miniature, decorazioni e illustrazioni presenti nel manoscritto.
La storia del Book of Kells risale all’incirca all’800 d.C.. Si può supporre con certezza che sia stato realizzato da seguaci di San Columba nello Scriptorium del monastero di Iona, dove sorgeva la sua casa principale.
Più tardi, a seguito delle incursioni vichinghe nell’806 (in cui furono uccisi 68 membri della comunità monastica), fu spostato nel Monastero di Kells (Co. Meath), nell’Irlanda centrale, dove i monaci si rifugiarono dopo l’attacco (da qui il manoscritto deriva il suo nome). A Kells rimase per circa due secoli, finché non fu rubato nel 1007.
La sua copertina dorata, probabilmente ricoperta di gemme, fu strappata e i resti gettati in un fosso. Il libro fu poi ricoperto, ma solo dopo aver subito alcuni danni alle pagine iniziale e finale causati dall’acqua. Sfortunatamente la sua copertina originaria fu perduta per sempre.
Il Book of Kells restò al monastero di Kells fino al 1541, quando la Chiesa Cattolica Romana lo prese in custodia. Nel 1661 fu riportato in Irlanda e donato dall’Arcivescovo Ussher al Trinity College di Dublino, dove è custodito tuttora, rappresentando l’opera più importante che la biblioteca universitaria possiede.
Nonostante le severe misure di conservazione necessarie per tutti i manoscritti medievali, purtroppo nel XIX secolo il libro ha subito danni durante una azzardata rilegatura: non avendo capito che alcune pagine variavano in dimensioni, il rilegatore ha mutilato alcune miniature per standardizzarne la misura.
Per la ricercatezza e il valore di tale testo sacro, si ritiene che il Libro non fosse utilizzato quotidianamente, ma fosse esposto sull’altare solo in occasioni molto importanti.
Nel 1953 il Book of Kells fu sottoposto a un generale e accurato restauro e fu diviso in quattro volumi, facilitandone, in tal modo, l’accesso. Due volumi sono quotidianamente esposti sotto un severo controllo presso la Old Library del Trinity College di Dublino.
Le pagine vengono voltate secondo un calendario regolare, in modo da mostrare al pubblico diverse parti del libro. Altri due volumi, invece, sono accessibili solo a pochi studiosi privilegiati.
Migliaia di persone confluiscono ogni anno al Trinity College per prendere visione di questo libro sacro.
Il Book of Kells contiene la copia riccamente decorata dei quattro Vangeli nel testo latino basato sulla Vulgata di San Gerolamo, del 384 d.C., mista a letture dalla vecchia traduzione latina.
I vangeli sono preceduti da prefazioni, sintesi delle narrazioni dei testi e dalle “tavole dei canoni” o dalle concordanze dei passaggi dei vangeli compilate nel IV secolo da Eusebio di Cesarea.
Non interessa soltanto il suo valore religioso, bensì soprattutto il suo aspetto, che lo rende il capolavoro dell’arte celtica medievale. Colpisce nel testo un’accurata scelta di parole e frasi, oltre alla grande serie di iniziali decorate in modo fantasioso e ai disegni interlineari.
Decorazioni sono presenti in tutte le pagine e solo due delle 680 pagine sono prive di colore. Vi sono scene di complessità iconografica solitamente interpretate come l’arresto e la tentazione di Cristo, così come immagini di Cristo, della Vergine e del Bambino e di San Matteo e San Giovanni.
Gli evangelisti e i loro simboli appaiono in tutto il manoscritto e si suppone che nell’impianto decorativo fondamentale ciascun vangelo fosse preceduto dai simboli degli evangelisti, da un ritratto e da una elaborazione delle parole iniziali.La decorazione dell’intero manoscritto esalta gli aspetti della vita e del messaggio di Cristo e riflette i momenti principali della Sua vita. Vi sono immagini ricorrenti della nascita, del sacrificio e della resurrezione.
Accanto alle immagini religiose, compaiono figure umane e animali e disegni astratti inclusi i simboli usati dagli artisti. Molte di queste sono immagini interlineari, inserite tra i testi grazie a un’enorme immaginazione e talento. In molti casi figure animali sono stilizzate e manipolate a formare delle lettere.
Nel corso degli anni più monaci amanuensi si alternarono nella scrittura del testo ma di loro non ci sono giunte grandi testimonianze.
Esistono, tuttavia, alcune tracce “a vista”: degli esperti che hanno studiato il manoscritto sono stati in grado di identificare dalla calligrafia solo l’intervento di quattro mani. Inoltre, si sa che gli artisti medievali posavano personalmente come modelli per essere ritratti; uno studioso, allora, ha ipotizzato che i nove apostoli raffigurati a pagina 202 possano essere gli stessi creatori del libro.
Quattro erano pittori e calligrafi maestri, gli altri cinque erano allievi impegnati a preparare le pagine, mescolare i colori e, talvolta, a collaborare in piccole decorazioni (senza dubbio, alcuni dei curiosi animaletti e uccelli per cui il libro è famoso, sono opera di apprendisti).
Il lavoro di miniatura è eccelso, poiché, per esempio, l’intrico e la perfezione di alcune decorazioni nella pagina 201 dedicata a S. Luca, non sono visibili a occhio nudo, ma solo grazie all’uso di un’ottima lente di ingrandimento.
Ci sono altri numerosi esempi di tali dettagli, visibili solo tramite lenti di ingrandimento di una certa qualità, che a quell’epoca non esistevano ancora, dunque, sorge spontaneo chiedersi come fu possibile creare un lavoro così accurato e minuzioso.
Due pittori in particolare dominano la scena per il loro genio e stile: uno era celtico (o irlandese o scozzese). Era preciso, ordinato e attento: la sua sola calligrafia avrebbe reso il libro un’opera d’arte, pur usando maggiormente inchiostro nero, oltre a blu e verde. Verso la fine del libro sono inserite due sue pagine, rispettivamente con lettere blu e verdi.
Il suo “rivale” doveva essere un uomo del sud, un arabo, un armeno o un italiano. Conosceva l’arte mediterranea e dipingeva con uno stile audace, che risalta dalla grazia dell’arte celtica. Per esempio, inizia una parte di testo in nero, vi inserisce, poi, un bel po’ di rosso scarlatto, per poi ricorrere al marrone e, infine, tornare al nero. Inserisce sempre piccoli dettagli, come rametti di fiori, punti e rombi eccentrici. Sua è certamente la migliore pagina del Book of Kells, la pagina “Chi Ro” (il cui nome deriva dalle prime due lettere greche del nome di Cristo). Compaiono qui enigmi e una certa confusione, per non parlare delle splendide immagini e della sublime calligrafia.
Il lavoro di dettaglio del Book of Kells è, in generale, stupefacente, poiché ogni simbolo rappresentato è unico, non compare altrove nel libro stesso. Persino in una parte in cui, in un pollice quadrato (ca. 6,5 cm²), compaiono 158 allacciature di un nastro bianco non sono stati trovati errori osservando con una lente di ingrandimento. Ecco perché spesso si credeva che solo gli angeli potevano aver scritto il Book of Kells (“… The Work Not of Men but of Angels…”, Giraldus Cambrensis, ca. 1150 d.C.).
Per rendere tale tesoro più accessibile, alcuni responsabili del Trinity College, nel 1986, hanno permesso la riproduzione a tiratura “limitata” (1480 copie) in facsimile dell’opera, affidando l’incarico a un editore svizzero, Urs Duggelin, la cui rinomata agenzia (Faksimile Verlag o Fine Art Facsimile Publishers) era specializzata nella riproduzione di rari manoscritti miniati. Duggelin riteneva che tale progetto sarebbe stata la realizzazione di un sogno durato una vita, ma quando lo propose per la prima volta, i responsabili del Trinity College rifiutarono categoricamente. Quando, però, promise di attenersi a severe misure di sicurezza e custodia, gli si aprì la porta dei sogni.
L’originale non doveva essere allontanato da Dublino; non si poteva sciogliere la rilegatura (azione prevista dalla tecnica tipica per riproduzioni fotografiche) e, peggio che mai, le pagine del libro non dovevano essere toccato da niente e nessuno, nemmeno da una lastra fotografica in vetro. Con coraggio e caparbia, Duggelin investì 750.000 franchi svizzeri (ca. 490.000,00 €) e due anni e mezzo di lavoro per inventare un macchinario unico che avrebbe permesso di fotografare il libro senza toccarlo in alcun modo.
Le fotografie furono fatte in diversi giorni nell’agosto del 1986. Dopo di che iniziava il vero lavoro: eccelsi litografi e artigiani attinsero alle loro conoscenze informatiche e alle loro abilità per riprodurre un perfetto facsimile. Controlli qualitativi sulla riproduzione resero necessari diversi viaggi tra Irlanda e Svizzera, per innumerevoli paragoni tra le pagine originali e i duplicati. Le autorità concordano che la qualità del facsimile è tale da non distinguerlo dall’originale. Questa è una eccezionale conquista nell’ambito della duplicazione, considerando l’origine animale dei pigmenti usati dagli artisti del Book of Kells.
Sebbene sia stato impossibile ripetere la qualità fisica della pergamena, fatta di pelle di animale, sono stati fedelmente riprodotti, tuttavia, persino i fori nella pergamena, causati dalla cedevolezza del materiale, dall’invecchiamento o da insetti. La normale stampa a colori è ridotta a quattro colori, ma alcune pagine del Book of Kells avevano dieci colori, così è stato seguito un processo più complicato e costoso. Infine i volumi sono stati rilegati e cuciti a mano, seguendo la procedura medievale che richiedeva un’enorme abilità.
Proprietarie di queste copie sono soprattutto Università e Fondazioni culturali e religiose degli Stati Uniti, tra cui, per esempio, l’Austin College (Texas). Grazie a queste riproduzioni è possibile accedere ad un numero abbastanza ampio di buone/ottime immagini delle pagine miniate di questo capolavoro anche per coloro che non si possono permettere il lusso di viaggi piuttosto costosi o non sono sufficientemente raccomandati!
Le City Card permettono di risparmiare sui mezzi pubblici e/o sugli ingressi delle principali attrazioni turistiche.